Ispirata dalle bellissime foto del migliaccio che in questi giorni circolano sui social, ho deciso di cimentarmi in questo dolce napoletano di ricotta e semolino che si prepara nel periodo del Carnevale.
Ho chiesto la ricetta a una signora napoletana che ho conosciuto al Bar d’angolo. Con Alessandra andiamo sempre lì a far colazione il sabato mattina e, nonostante io non sia un’appassionata frequentatrice di bar, è davvero un piacere avere questo punto di ritrovo vicino casa. C’è un’atmosfera familiare nel sedersi ai tavolini della piazzetta e salutare tizio e caio che ritornano dalla spesa o dalla giratina al parco con il cane, porgergli la sedia e fare due chiacchiere.
Sabato scorso, tra un caffè e una pastarella, ho chiesto alla signora Adriana – che abita a Napoli ma viene spesso a Firenze a trovare suo figlio – la ricetta del migliaccio ma, ahimè, mi ha risposto che nella sua vita non lo aveva mai preparato, perché i dolci con il semolino proprio non le piacciono. Si è però data subito un gran da fare per aiutarmi e ha telefonato alla figlia che, dalla cucina della casa di Napoli, mi ha poi inviato le foto delle pagine di un loro vecchio libro sulla pasticceria partenopea. Nel ricevere le foto da quella casa nel cuore di Napoli mi sono ritrovata a camminare nei vicoli di Spaccanapoli, a sbirciare dai portoni aperti i cortili con le scale a vista e i gabbiotti in legno dei portieri. Questo migliaccio e la cucina di casa di Adriana mi hanno come proiettata in una commedia di De Filippo, che tanto ho amato in gioventù, facendomi venire una gran voglia di rileggerlo. Mi sono tornati in mente i due volumi della collana Gli struzzi, editi da Einaudi, così sono salita su panchetti, sedie e scalei. Ho rivoltato ripiani, polvere, mensole e librerie. Niente: I capolavori di Eduardo non sono più in casa mia. Li avrò prestati e con il tempo ho dimenticato di richiederli. Che dispiacere, avrei tanto voluto rileggere il monologo della Madonna di Filumena Marturano. Da ragazzina lo avevo imparato a memoria per un corso di teatro e sulle pagine di quel libro avevo segnato pensieri, intonazioni e pause.
Su internet, la libreria dei testi perduti, ritrovo per fortuna il brano che stavo cercando, ma non è la stessa cosa: su quei volumi c’erano i miei appunti, le pagine con l’angolo ripiegato e chissà quanti ricordi mi sarebbero tornati alla memoria risfogliando quelle pagine! Sono un po’ feticista, ma negli oggetti conservo parti di me, e non ritrovarli mi fa sentire povera, privata di ricordi, atmosfere, memoria. E mi innervosisce ancor di più non ricordare a chi li ho prestati; magari sapessi che è una persona a cui voglio o ho voluto bene in quegli anni, ne sarei meno dispiaciuta.
Erano ‘e tre dopo mezanotte.
P’ ‘a strada cammenavo io sola. D’ ‘a casa mia già me n’ero iuta ‘a sei mise.
(Alludendo alla sua prima sensazione di maternità) Era ‘a primma vota! E che ffaccio? A chi ‘o ddico? Sentevo ncapo a me ‘e voce d’ ‘e ccumpagne meie: «A che aspetti! Ti togli il pensiero! Io cunosco a uno molto bravo…».
Senza vulé, cammenanno cammenanno, me truvaie dint’ o vico mio, nnanz’ all’altarino d’ ‘a Madonna d’ ‘e rrose. L’affruntaie accussì (Punta i pugni sui fianchi e solleva lo sguardo verso una immaginaria effige, come per parlare alla Vergine da donna a donna): «C’aggi’ ‘a fa’? Tu saie tutto… Saie pure pecchè me trovo int’ ‘o peccato. C’aggi’ ‘a fa’? » Ma essa zitto, nun rispunneva.(Eccitata) «E accussì ffaie, è ove’? Cchiù nun parle e cchiù ‘a gente te crede?… Sto parlanno cu’ te! (Con arroganza vibrante) Rispunne!».
(Rifacendo macchinalmente il tono di voce di qualcuno a lei sconosciuto che, in quel momento, parlò da ignota provenienza) «’E figlie so’ ffiglie!». Me gelaie. Rummanette accussì, ferma.
(S’irrigidisce fissando l’effige immaginaria) Forse si m’avutavo avarria visto o capito ‘a do’ veneva ‘a voce: ‘a dint’ a na casa c’ ‘o balcone apierto, d’ ‘o vico appriesso, ‘a copp’ a na fenesta… Ma penzaie: «E pecchè proprio a chistu mumento? Che ne sape ‘a ggente d’ ‘e fatte mieie? E’ stata Essa, allora… È stata ‘a Madonna! S’è vista affrontata a tu per tu, e ha vuluto parlà… Ma, allora, ‘a Madonna pe’ parlà se serve ‘e nuie… E quanno m’hanno ditto: “Ti togli il pensiero!”, è stata pur’essa ca m’ ‘ha ditto, pe’ me mettere ‘a prova!… E nun saccio si fuie io o ‘a Madonna d’ ‘e rrose ca facette c’ ‘a capa accussì! (Fa un cenno col capo come dire: “Si, hai compreso”) ‘E figlie so’ ffiglie!» E giuraie.
200 g di semolino Scaldate il latte in un pentolino, aggiungete lo zucchero, le bucce di arancia e limone (non la scorza grattugiata ma proprio la buccia, tagliata facendo attenzione a non tirar via anche la parte bianca) e il baccello di vaniglia insieme ai suoi semi, che avrete estratto tagliandolo per lungo e passando all’interno la lama del coltello. Quando avrà preso il bollore, abbassate il fuoco al minimo e versate il semolino. Lasciate cuocere il tutto per qualche minuto mescolando con una frusta per non farlo attaccare e mettetelo da parte a raffreddare. Nella ricetta che mi ha mandato Adriana era scritto di utilizzare l’essenza di fiori d’arancio, ma io non sono un’appassionata di acque aromatiche industriali e così l’ho sostituita aggiungendo più scorza di arancia. In una ciotola mescolate con la frusta le uova con la ricotta. Quando non ci saranno più grumi aggiungete il semolino e continuate a mescolare. Versate il composto in una teglia di cm 25 coperta con carta da forno e cuocete per 50 minuti a 180 °C. Ovviamente, gustate questo migliaccio guardando un video di una commedia di Edoardo.Il Migliaccio napoletano ed i libri che ho prestato (#accidentiame)
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Ingredienti
800 ml di latte
1 baccello di vaniglia
250 g di zucchero semolato
250 g di ricotta
3 uova
1 limone
1 arancia
1 baccello di vaniglia
1 cucchiaino di essenza di fiori d’arancio
zucchero a velo per guarnireprocedimento